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Borges e i mondi paralleli del Don Chisciotte

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Nostalgia-7

(Fonte immagine)

di Lisa Orlando 

Pierre Menard (autore del Don Quijote de la Mancha) è un racconto scritto da Borges nel 1944. Lo scrittore argentino immaginò, in rispondenza a quella sua singolare idea di prolificazione del possibile e dell’impossibile, di un fantomatico scrittore francese (chiamato Pierre Menard) che, a un certo punto, iniziò a riscrivere parte del Don Chisciotte. Borges, si premurò di precisare che Menard non voleva copiare l’opera di Cervantes, ovvero trascriverla in modo meccanico, ma produrre, per mirabile ambizione, “delle pagine che coincidessero, parola per parola e linea per linea“ con l’opera originale.  Assolutamente non un altro Chisciotte; come spiegò Borges, Menard volle comporre il Chisciotte.

A tal punto, è rilevante ricordare, per meglio comprendere il senso di quella duplicazione operata da Borges, il punto di vista di Blanchot: “Borges ci propone d’immaginare uno scrittore francese contemporaneo che scriva, partendo da pensieri propri, delle pagine che riproducano testualmente due capitoli del Don Chisciotte: assurdità memorabile, non diversa da quella cui si assiste in ogni traduzione. In una traduzione noi abbiamo una stessa opera in un doppio linguaggio; nella finzione di Borges, abbiamo due opere nell’identità dello stesso linguaggio e, in questa identità che non è tale, il vertiginoso miraggio della duplicità dei possibili. Ora, di fronte a una replica perfetta, l’originale è cancellato e perfino l’origine. Così il mondo, se si potesse esattamente tradurlo e raddoppiarlo in un libro, perderebbe ogni principio e ogni fine per diventare quel volume sferico, finito e senza limiti, che tutti gli uomini scrivono e in cui sono scritti: non sarebbe più il mondo, ma sarebbe, sarà il mondo pervertito nella somma infinita dei suoi possibili”.

Il Don Chisciotte (di Pierre Menard), precisò lo scrittore argentino, fu un libro contingente, innecessario, rimandando con ciò al valore “altro” della letteratura, totalmente estranea alle leggi della necessità; poiché se scrivere il Don Chisciotte nel XVII secolo fu “impresa ragionevole, necessaria, forse inevitabile; all’inizio del XX, fu impresa quasi impossibile” oltre che irragionevole e non necessaria.

Eppure, in quell’opera riprodotta (“Io ho contratto l’obbligo misterioso di ricostruire letteralmente l’opera spontanea di Cervantes”, è l’informazione che Menard dà al lettore), si rileva certamente un’inesorabile forzatura, e quindi una perdita di spontaneità, tuttavia, in essa, ogni parola diviene “altra”, o meglio: si carica di significato aggiuntivo; significato accumulato durante i trecento anni di storia intercorsi tra la compilazione dei due testi. Infatti, l’accrescimento del significato – che si traduce in una sorta di “stratificazione” legata ad ogni parola – viene inteso come ambiguo, ma pur come arricchimento. Sarà lo stesso Borges ad affermare: “Il testo di Cervantes e quello di Menard sono verbalmente identici, ma il secondo è quasi infinitamente più ricco. (Più ambiguo, diranno i suoi detrattori; ma l’ambiguità è una ricchezza)”.

E ancora Borges scriverà, per meglio fornirci un esempio di quanto le parole vengono ad assumere significati diversi col passare del tempo e il dipanarsi degli eventi:

“Il raffronto tra la pagina di Cervantes e quella di Menard è senz’altro rivelatore. Il primo, per esempio, scrisse (Don Chisciotte, parte I, capitolo IX):

“… la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire“.

Scritta nel secolo XVII, scritta dall’ingenio lego Cervantes, quest’enumerazione è un mero elogio retorico della storia. Menard, per contro, scrive:

 ”…la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e notizia del presente, avviso dell’avvenire”.

La storia, madre della verità; l’idea è meravigliosa. Menard, contemporaneo di William James, non vede nella storia l’indagine della realtà, ma la sua origine. La verità storica, per lui, non è ciò che avvenne, ma ciò che noi giudichiamo che avvenne.”

Il Don Chisciotte di Menard, pertanto, pur se verbalmente identico a quello di Cervantes, non è, né sarà mai una semplice copia dell’originale (“solo quelli con poco acume sarebbero disposti a vedere l’opera di Menard come una trascrizione”, scrisse Borges), bensì una produzione (o ricreazione) duplicante nella quale si intravede quel vertiginoso miraggio, di cui parlava Blanchot, delle infinite possibilità di uno specifico mondo reale.

Non mai produzioni banali di copie, quindi – che sarebbero inesorabili operazioni di morte, ma riuscire a duplicare i possibili (nel “vertiginoso miraggio), sarebbero germinazioni risveglianti di vita.


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